Malattie cardiacheCOVID e implicazioni a breve e lungo termine sull’apparato cardiovascolare

Dott. Roberto Pedretti

COVID e implicazioni a breve e lungo termine sull’apparato cardiovascolare

L’11 marzo 2020 l’OMS ha dichiarato il focolaio internazionale di infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 una pandemia e denominato la patologia da esso determinata come COVID-19 (Corona Virus Disease 19).

COVID-19 è una infezione virale delle vie respiratorie, altamente contagiosa, che nella maggior parte dei casi decorre con sintomi lievi ma che può determinare un interessamento delle vie respiratorie inferiori sino alla polmonite che, in alcuni pazienti, può evolvere in una grave forma di sindrome da “distress” respiratorio acuto.

In questi casi, caratterizzati da una vera e propria tempesta infiammatoria, possono verificarsi quadri di vasculopatia sia a livello polmonare che di altri distretti vascolari.

Tali riscontri hanno portato a comprendere l’importanza di agire nel trattamento del COVID-19 anche a livello del sistema cardiocircolatorio con un utilizzo più esteso ed aggressivo dell’eparina. L’eparina è un farmaco anticoagulante, in grado di prevenire la formazione di trombi all’interno di arterie e vene.

Nel COVID-19, le manifestazioni cardiache non sono infrequenti. Alcuni pazienti sono asintomatici per sintomi cardio-specifici ma evidenziano alterazioni elettrocardiografiche e/o elevazione della troponina cardiaca sierica, biomarcatore espressione di danno del muscolo cardiaco, altri mostrano anomalie subcliniche all’ecocardiogramma e ai test di imaging cardiaco. Talora possono verificarsi aritmie cardiache e una quota di pazienti presenta invece patologie cardiache sintomatiche, con evidente danno miocardico.

Le patologie cardiache osservate in corso di COVID-19 sono la miocardite, l’ischemia miocardica acuta da patologia macro o microvascolare del circolo coronarico, la cardiomiopatia da stress (Sindrome di Takotsubo), l’insufficienza cardiaca acuta, il cuore polmonare acuto da embolia polmonare, la sindrome da distress respiratorio e danno miocardico. Nelle forme più gravi di COVID-19 con disfunzione multiorgano per sindrome da risposta infiammatoria sistemica il danno miocardico è in genere presente.

Volendo dare una dimensione della frequenza del danno miocardico nell’ambito del COVID-19, un incremento dell’enzima cardiaco troponina, è stato riscontrato nel 7-36% dei pazienti ospedalizzati; in altre parole possiamo dire che di 4-5 pazienti ospedalizzati per COVID-19, quasi uno presenta un danno miocardico, associato o meno a manifestazioni cliniche specifiche.

Da un punto di vista diagnostico, un ruolo importante è svolto dai biomarcatori cardiaci, dalla valutazione degli indici infiammatori, dell’ECG, delle tecniche di imaging cardiovascolare non invasivo di primo livello (ecocardiografia), secondo livello (risonanza magnetica nucleare cardiaca, angio-TC coronarica e cardiovascolare), dell’imaging invasivo (coronarografia) sino all’esecuzione, in casi specifici, di biopsia endomiocardica. È importante sottolineare come la esecuzione di test diagnostici complessi non sia semplice da un punto di vista organizzativo, ciò per prevenire sia il contagio degli operatori sia la diffusione del virus in ambienti diversi dai reparti COVID-19.

L’attenzione continua ad essere focalizzata sulla fase acuta del COVID-19, sia nella sua forma più tipica (polmonite ed insufficienza respiratoria) sia per quanto riguarda il coinvolgimento di altri organi ed apparati. La presenza a distanza di danno miocardico e vascolare in pazienti con COVID-19 è pertanto del tutto sconosciuta. Anche per tale ragione un programma di valutazione cardiologica in pazienti ospedalizzati e guariti da COVID-19 a distanza dalla dimissione può avere una significativa base logica.

Roberto F.E. Pedretti (cardiologo@robertopedretti.it)
Direttore Dipartimento Cardiovascolare
Direttore Unità Operativa Complessa di Cardiologia
IRCCS MUltiMedica, Sesto San Giovanni (MI)